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Quali riforme per la “Buona Scuola”?

08/09/2014

E’ curioso. Tutti discutono sul tema dell’istruzione e, a leggere i giornali italiani, parrebbe che nel paese si fosse raggiunta una ragionevole unanimitá almeno su una circostanza: se l’industria italiana perde posizioni questo dipende dall’insufficiente qualificazione del “capitale umano”. Non dalla “scuola che non forma al lavoro”.

Lo ha detto Ignazio Visco a Cernobbio, lo scrive Edmund Phelps sul#Sole24Ore. In altre parole: un’industria che cresce si va a cercare i tecnici dove li trova. Non dipende certo dall’offerta nazionale. Ma l’industria italiana non cresce e non assume, né in Italia né altrove. Se lo sviluppo industriale italiano dei decenni passati ha trasformato molti operai in piccoli imprenditori, oggi volontá e duro lavoro non bastano più. Occorre avere la capacitá di cogliere il mutamento, cioè immaginazione: proprio la cosa che una rigida istruzione tecnica uccide. “E’ facile, ma pericoloso”, ammonisce Howard Gardner, psicologo cognitivo e scienziato dell’apprendimento, “concludere che in futuro ogni indirizzo formativo dovrà essere imperniato sulla matematica, le scienze e la tecnologia”.

Tutto chiaro per tutti dunque? Non proprio. Perché il best seller politico-educativo italiano dell’anno, brandito e celebrato da tutti i maggiori quotidiani nazionali, non è firmato da Visco né da Phelps né (poniamo) da Krugman, ma dall’attuale presidente di Assolombarda e giá responsabile Education [sic] di Confindustria, Gian Felice Rocca, leader di Techint etc. Si intitola Riaccendere i motori e risulta del tutto in controtendenza rispetto alla più autorevole opinione internazionale.

Per Rocca come per le innumerevoli teste d’uovo confindustriali – i soli in definitiva che la nostra classe politica sia davvero disposta a ascoltare – ci sono troppi laureati nel paese. Il progetto è dunque quello del “paese dei periti”.

Qual’è la morale della fiaba? Questa. Se altrove ci si preoccupa di sostenere l’innovazione, dunque l’occupazione qualificata e meglio retribuita, in Italia si preferisce retribuire meno il lavoro. E’ chiaro che un tecnico costa meno, in ingresso, di un laureato: il 15, 20 o 30% in meno. Possiamo considerare questa differenza come l’equivalente di una vigorosa svalutazione competitiva: l’ancestrale risorsa del cummenda italiano. L’ingresso nell’euro ci impedisce di svalutare? Bene. Dequalifichiamo l’offerta di lavoro.

Secondo voi: a quale dei due punti di vista terrá fede la riforma della scuola preannunciata dal premier, dal titolo “la Buona Scuola”?

http://www.roars.it/online/teaching-vs-research-universities-il-punto-di-vista-di-gianfelice-rocca-su-anvur-universita-ricerca-e-innovazione/

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