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Si è tornati a parlare spesso in questi giorni, anche a seguito di St(r)ati della cultura, di iniziative pro-cultura e #socinn; e della necessità di dare formazione allo slancio sussidiario di cittadini e associazioni. Si è parlato di #sussidiarietà, in Italia in anni recenti, per lo più in termini neo-oligarchici: il mecenate-principe. Se ne è parlato molto meno da punti di vista includenti e partecipativi. La mia idea, accennata nell’incontro di Ferrara, è quella di Centro studi per la sussidiarietà, o di una #OpenUniversity per professionalizzare il Terzo settore. Per delineare alcune distinzioni elementari, linko qui una mia inchiesta di qualche tempo fa su #sussidiarità e idelogie neo-conservatrici.

Alessandro Magnasco, Il naufragio, The Phillips Collection

Da un po’ a “Repubblica” tutti sembrano lavorare per “Il Fatto”. Il debutto dell’iperconvenzionale Stefano Folli come commentatore politico la dice lunga sulle strategie del quotidiano diretto da Mauro e sul pubblico moderato e residuale su cui ormai si è rassegnati a puntare. A quando Moira Orfei?

Compassato e curiale, Folli è più un addetto stampa dei palazzi politici (se non un prelato tout court) che un giornalista. Chi non lo ricorda, instancabile esegeta presidenziale, accanto a Lilli Gruber? Le sue analisi colpivano come freccette soporifere. In breve: Una sorta di vaso canopico del giornalismo, dedicato alla conservazione delle frattaglie, purché illustri. Niente a che fare con l’inchiesta. Niente a che fare (tantomeno) con il corsivo fazioso e acre alla Curzio Maltese – della cui ortodossia nessuno sente peraltro la mancanza.

Così si sostituisce Barbara Spinelli con l’ex quirinalista del “Sole 24Ore”. Che si desideri l’affondamento della nave? Viene da crederlo: di fatto il cartaceo di “Repubblica” è in perdita da anni. Che ne è poi del “Corriere”, inabissatosi nella nuova forma tabloid? Chi si adatta a leggerlo si imbatte in emozioni firmate pur sempre Galli della Loggia, Di Vico, Ferrara o Panebianco. Temo non siano molti a farlo.

Resta che “Il Fatto”, quantomeno al momento, non è né può essere un primo quotidiano: troppo smilzo, povero di esteri e di cultura, limitato nell’impostazione generale. Dunque? Che dire: tutti sembrano lavorare per la buona informazione online. Benvenuta.