Mariaztella
23/12/2014
Questa è la risposta di #MariastellaGelmini alle ricerche che avvertono dell’abbandono di una percentuale sempre maggiore di ricercatori a tempo determinato – una risposta ideologica e massimalistica, che chiarisce l’intenzione punitiva. Gelmini ignora (e come non potrebbe?) gli studi di psicologia della creatività che riconoscono la correlazione esistente, in artisti, scienziati, ricercatori innovativi, tra autonomia e iperlavoro: si è tanto più produttivi quanto più ci si sente apprezzati e si è lasciati liberi da invadenti burocrazie. Si può considerare positivamente una riforma che distrugge l’istituzione che dovrebbe riformare? E soprattutto: la riforma ha stanato i pessimi – secondo il proposito dichiarato – o colpiti invece quanti non hanno niente a che fare, per ragioni anagrafiche e non solo, con le assunzioni indiscriminate degli anni Settanta e Ottanta?
#LexGelmini
22/12/2014
Non era difficile prevedere quali potessero essere le conseguenze della legge di riforma universitaria varata dall’allora ministro Maria Stella Gelmini. Ne ho scritto per tempo, contestando la legge e cercando di delineare l’archeologia politica dell’intero processo di riforma in Humanities e innovazione sociale (doppiozero, Milano 2012, qui).
Quello che mi colpiva nel biennio cruciale 2010-2011 (e continua a colpirmi oggi) era (è) l’atteggiamento dei vertici accademici se non della maggioranza degli universitari. E (aggiungo) pure di quanti, ricercatori indipendenti, scrittori, intellettuali trenta-quaranta, agit-prop cognitivi, dopo essere transitati dall’università pubblica e aver confidato di svolgervi un lavoro, guardano alla sua distruzione come a un problema semplicemente tecnico o settoriale.
Storia dell’arte e giornalismo culturale
15/12/2014
Come cambia la storia dell’arte? E qual è il suo rapporto con il miglior giornalismo culturale? Ne scrivo @Scenari_Mimesis qui.
Retoriche del patrimonio. “Una politica dei beni culturali” di Andrea Emiiani, oggi ripubblicato
14/12/2014
E’ appena apparsa la seconda edizione di “Una politica dei beni culturali” di #AndreaEmiliani, testo cardine della riflessione italiana sulla tutela, apparso una prima volta per Einaudi. A distanza di quaranta anni dalla prima edizione la rilettura rivela margini fantastici e l’immaginazione anche letteraria che sta dietro alle tesi dell’autore. Ne scrivo oggi @ROARS qui.
Michelangelo Pistoletto ha raccontato molte cose; alcune ha adattato, altre ha taciuto. Un’esemplificazione tra le possibili: la serie degli Oggetti in meno rimane un cono d’ombra storico-artistico nel contesto di una biografia professionale segnata dall’assiduo esercizio di autocommento e autointerpretazione. Agli Oggetti in meno sembra essere stato affidato come il segreto della transizione pre-poveristica e “concettuale”.
In senso lato possiamo affermare che gli Specchi sono ancora pittura: del quadro preservano morfologia, tecniche (quantomeno nel primo momento, quando prevedono disegno) e racconto. Gli Oggetti in meno si dispiegano invece nello “spazio”: sono per lo più (non sempre; non necessariamente) installazioni, “ambienti”. La domanda è: costituiscono davvero una serie, cioè lo sono storicamente, nel disegno che ne possiede l’artista sin da subito; o lo diventano retrospettivamente, con propositi sottilmente mitografici e autocelebrativi, nel racconto che di sé dà Pistoletto? Free Download qui e qui (un secondo saggio sul tema #MichelangeloPistoletto #Artepovera #Italia|USA in: Geopolitiche dell’arte. Arte e critica d’arte italiana nel contesto internazionale, Marinotti, Milano 2012, qui).
Diario namibiano
03/12/2014