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August-Friedrich-Siegert-Il-conoscitore

Vorrei considerare il tema dei rapporti tra ricerca e giornalismo culturale considerandolo dalla prospettiva di un particolare settore di studi, il mio. Chi è il destinatario della storia dell’arte? Come avvicinare un pubblico più ampio della ristretta cerchia di specialisti, collezionisti e devoti? O emancipare lo studio del passato dalle lamentazioni della nostalgia? Queste alcune domande possibili. Spesso distinguiamo le due attività – “ricerca” e “giornalismo culturale” – in maniera precipitosa e sommaria, senza riguardo per le ambiguità o le sfumature. Facciamo riferimento al tipo di pubblicazione che accoglie questo o quel contributo e impieghiamo grande zelo nel distinguere tra riviste scientifiche, riviste divulgative, giornali, blog etc. Tutto questo sembra penosamente estrinseco. Simili distinzioni hanno davvero a che fare con l’intima necessità e coerenza di un percorso di ricerca innovativo, che cerca di trovare e coltivare il suo pubblico a più livelli e in modo molteplice?

Ne scrivo @ROARS qui

Mariaztella

23/12/2014

Questa è la risposta di #MariastellaGelmini alle ricerche che avvertono dell’abbandono di una percentuale sempre maggiore di ricercatori a tempo determinato – una risposta ideologica e massimalistica, che chiarisce l’intenzione punitiva. Gelmini ignora (e come non potrebbe?) gli studi di psicologia della creatività che riconoscono la correlazione esistente, in artisti, scienziati, ricercatori innovativi, tra autonomia e iperlavoro: si è tanto più produttivi quanto più ci si sente apprezzati e si è lasciati liberi da invadenti burocrazie. Si può considerare positivamente una riforma che distrugge l’istituzione che dovrebbe riformare? E soprattutto: la riforma ha stanato i pessimi – secondo il proposito dichiarato – o colpiti invece quanti non hanno niente a che fare, per ragioni anagrafiche e non solo, con le assunzioni indiscriminate degli anni Settanta e Ottanta?

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#LexGelmini

22/12/2014

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Non era difficile prevedere quali potessero essere le conseguenze della legge di riforma universitaria varata dall’allora ministro Maria Stella Gelmini. Ne ho scritto per tempo, contestando la legge e cercando di delineare l’archeologia politica dell’intero processo di riforma in Humanities e innovazione sociale (doppiozero, Milano 2012, qui).

Quello che mi colpiva nel biennio cruciale 2010-2011 (e continua a colpirmi oggi) era (è) l’atteggiamento dei vertici accademici se non della maggioranza degli universitari. E (aggiungo) pure di quanti, ricercatori indipendenti, scrittori, intellettuali trenta-quaranta, agit-prop cognitivi, dopo essere transitati dall’università pubblica e aver confidato di svolgervi un lavoro, guardano alla sua distruzione come a un problema semplicemente tecnico o settoriale.

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Si è tornati a parlare spesso in questi giorni, anche a seguito di St(r)ati della cultura, di iniziative pro-cultura e #socinn; e della necessità di dare formazione allo slancio sussidiario di cittadini e associazioni. Si è parlato di #sussidiarietà, in Italia in anni recenti, per lo più in termini neo-oligarchici: il mecenate-principe. Se ne è parlato molto meno da punti di vista includenti e partecipativi. La mia idea, accennata nell’incontro di Ferrara, è quella di Centro studi per la sussidiarietà, o di una #OpenUniversity per professionalizzare il Terzo settore. Per delineare alcune distinzioni elementari, linko qui una mia inchiesta di qualche tempo fa su #sussidiarità e idelogie neo-conservatrici.

Zurbaran, San Francesco, s.d., Lyon, Musée des Beaux Arts, part

Come cambia la storia dell’arte? E qual è il suo rapporto con il miglior giornalismo culturale? Ne scrivo @Scenari_Mimesis qui.

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‪#‎Industrieculturaliecreative‬ ‪#‎Humanities‬ ‪#‎innovazionesociale‬. Il testo del mio intervento @St(r)ati della Cultura di Ferrara @L’Huffington qui

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E’ appena apparsa la seconda edizione di “Una politica dei beni culturali” di ‪#‎AndreaEmiliani‬, testo cardine della riflessione italiana sulla tutela, apparso una prima volta per Einaudi. A distanza di quaranta anni dalla prima edizione la rilettura rivela margini fantastici e l’immaginazione anche letteraria che sta dietro alle tesi dell’autore. Ne scrivo oggi @ROARS qui.

“Culture Jobs”. Un incontro sui temi dell’economia della cultura, della creatività e del lavoro qualificato cui sono lieto di prendere parte. Ferrara, 11, 12 e 13 dicembre 2014. A cura di UCCA|Arci. Qui sotto locandina e programma.

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Michelangelo Pistoletto ha raccontato molte cose; alcune ha adattato, altre ha taciuto. Un’esemplificazione tra le possibili: la serie degli Oggetti in meno rimane un cono d’ombra storico-artistico nel contesto di una biografia professionale segnata dall’assiduo esercizio di autocommento e autointerpretazione. Agli Oggetti in meno sembra essere stato affidato come il segreto della transizione pre-poveristica e “concettuale”.

In senso lato possiamo affermare che gli Specchi sono ancora pittura: del quadro preservano morfologia, tecniche (quantomeno nel primo momento, quando prevedono disegno) e racconto. Gli Oggetti in meno si dispiegano invece nello “spazio”: sono per lo più (non sempre; non necessariamente) installazioni, “ambienti”. La domanda è: costituiscono davvero una serie, cioè lo sono storicamente, nel disegno che ne possiede l’artista sin da subito; o lo diventano retrospettivamente, con propositi sottilmente mitografici e autocelebrativi, nel racconto che di sé dà Pistoletto? Free Download qui e qui (un secondo saggio sul tema #MichelangeloPistoletto #Artepovera #Italia|USA in: Geopolitiche dell’arte. Arte e critica d’arte italiana nel contesto internazionale, Marinotti, Milano 2012, qui).

Diario namibiano

03/12/2014

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Diario namibiano è una mia inchiesta|travelogue sull’occidentalizzazione incipiente delle culture San, Nama e Herero, sulla cooperazione culturale e la trasformazione delle abilità tradizionali in “design” e “fine arts”. L’ho realizzata anni fa, tra Sudafrica e Namibia, collaborando con istituzioni locali e intervistando operatori culturali, storici, cooperanti e artigiani.
Il Diario è stato finalista del Premio Paola Biocca|Società Italo Calvino per il reportage lungo nel 2002; e ripubblicato (senza immagini) in: Ho visto, e/o, Roma 2003. Scriverlo fu per me importante e per più versi catartico: usavo strumenti da storico e critico d’arte in contesti lontani, in una prospettiva antropologica, al di fuori del ristretto mondo dell’arte contemporanea (venivo da esperienze curatoriali). Mi interessava poi osservare la trasformazione del saggio in narrativa non fiction, taccuino o diario di viaggio. Sono felice adesso di renderlo liberamente disponibile qui e qui.